09 Nov Fondazione italiana continenza: da 15 anni una voce contro il silenzio. Non solo costi e numeri ma persone e sostenibilità
Mancanza di informazione, scarsa presa di coscienza della malattia, limitazioni sociali, elevati costi diretti e indiretti: sono solo alcuni degli elementi messi in luce da 15 anni di attività della Fondazione Italiana Continenza
Oggi l’incontinenza rappresenta ancora un tabù, nonostante la sua eccezionale rilevanza sociale: in Italia sono incontinenti almeno 5,1 milioni di persone sopra i 18 anni (3,7 milioni di donne e 1,4 milioni di uomini, con un rapporto di 2,7 a 1 tra i due sessi). In altri termini, su 100 italiani, almeno 10 soffrono di incontinenza urinaria, 6% tra gli uomini e 14% circa tra le donne, con un sensibile incremento della prevalenza al crescere dell’età. E’ un problema sommerso, avvolto nel silenzio e di cui si parla ancora troppo poco. Per comprendere meglio la reale portata del problema dal punto di vista della persona, ma anche del Servizio Sanitario e per parlare delle possibilità terapeutiche, la Fondazione italiana continenza, ente senza fini di lucro, da 15 anni impegnata a sensibilizzare e ad informare l’opinione pubblica circa le tematiche dell’incontinenza, ha presentato oggi a Milano, durante l’incontro “Fondazione Italiana continenza: da 15 anni una voce contro il silenzio. Non solo costi e numeri ma persone e sostenibilità”, i risultati preliminari di una ricerca sui costi dell’incontinenza, svolta dal Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università degli Studi “Roma Tre”.
L’incontro ha visto la partecipazione di numerosi esperti e professionisti del settore: Walter Artibani – Presidente Onorario FIC, Direttore Clinica Urologica Verona, Componente del Comitato Esecutivo EUA – European Urological Association, past President SIU – Società italiana di urologia; Antonella Biroli – Presidente del Comitato Scientifico FIC, già membro del Direttivo della Società italiana di Urodinamica, Fisiatra, Responsabile SS Riabilitazione Neurologica e Disfunzioni autonome – Osp. San Giovanni Bosco – Torino; Roberto Carone – Presidente SIU – Società italiana di urologia, Presidente Emerito FIC, Urologo, Direttore Struttura Complessa di Neuro-Urologia – Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza – Torino; Mario De Gennaro – Presidente FIC, Primario Urologo Pediatra, Responsabile U.O. Complessa Urodinamica Pedriatrica Ospedale Bambino Gesù – Roma, Chairman Educational Committee ICCS – International Children Continence Society; Gianfranco Minini – già Direttore U.O.C. Ostetricia e Ginecologia Spedali Civili di Brescia; Consigliere GLUP – Gruppo di Lavoro Uroginecologia e Pavimento Pelvico, già Membro Direttivo SIUD – Società italiana di urodinamica; Valerio Pieri – Professore aggregato di Economia Aziendale presso il Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università degli Studi “Roma Tre”; Diego Riva – Ginecologo Humanitas San Pio X, esperto in pavimento pelvico.
“L’incontinenza è definita come perdita involontaria di urina e affligge milioni di persone, giovani e anziani, uomini e donne. Molto spesso questo problema è associato ad una scarsa conoscenza della malattia e ad un forte senso di pudore nel parlarne con il proprio medico e con persone vicine. Possiamo dire che siamo di fronte ad un problema sommerso. Fra le diverse tipologie di incontinenza urinaria, quella da sforzo viene indicata dagli intervistati come la più diffusa; tuttavia, la forma di incontinenza urinaria che rivela le conseguenze più problematiche sia dal punto di vista psicofisico che gestionale è l’incontinenza mista, che affligge il 2% degli italiani”, ha dichiarato Mario De Gennaro, Presidente di Fondazione.
“Uno dei dati più rilevanti, evidenziato dalla Fondazione italiana continenza, riguarda i livelli di informazione relativi alla malattia. Solamente un quarto circa degli intervistati ha infatti ammesso di avere qualche informazione in merito alle conseguenze del disturbo, ai trattamenti medici, riabilitativi e chirurgici disponibili per affrontarlo, oggi per altro estremamente efficaci. La maggior parte dei pazienti si affida purtroppo ancora al pannolone come unico rimedio” ha aggiunto Diego Riva, del Comitato Scientifico di Fondazione.
“Nel dare impulso ad una ricerca sui costi dell’incontinenza urinaria, la FIC ha colto decisamente nel segno: gli studi scientifici sui costi dell’incontinenza sono pochi, parziali e presentano risultati molto variabili. Dall’analisi della letteratura internazionale, e ancor più di quella nazionale, emerge un fabbisogno sia di ricerche in campo medico, sia di ricerche in campo economico”, ha sottolineato Valerio Pieri, responsabile della ricerca per il Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università di “Roma Tre, aprendo il proprio intervento.
“La mancanza di ricerche e di dati scientifici – ha proseguito Pieri – appare quasi paradossale di fronte alla rilevanza sociale dell’incontinenza, dimostrata dal numero eccezionale di persone che vivono quotidianamente i disagi causati da questa patologia, disagi che dovremmo considerare inaccettabili quando l’incontinenza non viene propriamente curata o, addirittura, viene tenuta nascosta perfino al medico di base. L’importanza di nuovi studi e approfondimenti sull’argomento emerge in modo ancor più evidente se, oltre ai dati di prevalenza, si considera che gli studi esistenti consentono di collocare i costi dell’incontinenza urinaria nel nostro paese nell’ordine di alcuni miliardi di euro l’anno”.
Anticipando i primi risultati della ricerca, Pieri ha ricordato che l’incontinenza non genera soltanto costi diretti (presidi assorbenti, farmaci da banco, diagnosi, terapie chirurgiche, ecc.), ma anche importanti costi indiretti (perdita di produttività lavorativa, raccolta e smaltimento dei rifiuti indifferenziati prodotti, tempo utilizzato da chi assiste le persone incontinenti, ecc.). Esistono infine costi intangibili, rappresentati principalmente dalla sofferenza psicologica (disagio, ansia, angoscia, vergogna, ecc.) della persona incontinente e dei suoi familiari. I costi intangibili sono difficilmente misurabili in termini monetari, ma è agevole comprenderne la rilevanza in termini di impatto socio-economico.
Guardando ai costi diretti e indiretti, la sola incontinenza femminile in Italia genera costi stimabili in circa 3,3 miliardi di euro l’anno, di cui costi diretti per 2 miliardi di euro e indiretti per 1.3 miliardi di euro. Si può pervenire a tale stima considerando che le ricerche esistenti svolte in Italia consentono di stimare un costo medio pro-capite per le donne incontinenti di poco superiore a 900 euro l’anno (60% di costi diretti, 40% costi indiretti.
L’importo di 3,3 miliardi l’anno, già di per sé molto significativo, non include i costi dell’incontinenza urinaria maschile, i costi aggiuntivi relativi alle persone incontinenti ricoverate, nonché tutti i costi intangibili.
Riguardo alla partecipazione del SSN alla copertura dei costi, i primi risultati provvisori della ricerca, dando priorità all’incontinenza femminile, collocherebbero la quota media di partecipazione del sistema sanitario a circa la metà dei costi diretti, con percentuali molto differenziate per le varie voci di costo: la copertura è pressoché integrale per alcuni costi (ad esempio, per gli interventi chirurgici), parziale per altri (ad esempio, per la fornitura di presidi assorbenti), mentre per varie voci di costo il grado di partecipazione del SSN è irrilevante o nullo (ad esempio, per i farmaci).
Concludendo il proprio intervento, a nome dell’intero gruppo di lavoro del Dipartimento di Studi Aziendali di Roma TRE, Pieri ha voluto ringraziare Fondazione sia per aver messo a disposizione del gruppo di ricerca il fondamentale contributo di esperti e specialisti nel campo medico, sia per aver finanziato due borse di studio destinate a studenti universitari particolarmente meritevoli, che hanno potuto seguire il lavoro di ricerca.
Ma che cosa si potrebbe fare per cercare di ridurre in modo significativo i costi dell’incontinenza?
“Un primo passo potrebbe essere rappresentato dalla riduzione dei tempi tra l’insorgere dei primi sintomi e l’avvio del percorso di diagnosi e di terapia, anche con un più fluido passaggio dal medico di base allo specialista, in secondo luogo avviare percorsi di prevenzione, soprattutto secondaria, e infine cercare di adottare terapie in grado di ridurre e di curare l’incontinenza (interventi chirurgici, fisioterapia, farmaci)”, ha ricordato Antonella Biroli, Presidente del Comitato Scientifico di Fondazione.
“La prevenzione e la terapia dell’incontinenza urinaria, del prolasso genitale e di altre disfunzioni del pavimento pelvico della donna sono infatti degli obiettivi concreti di Fondazione per la salute della donna” fa eco Gianfranco MInini del Comitato Scientifico di Fondazione.
La Fondazione, nei suoi 15 anni di attività, è impegnata proprio su questo fronte.
“L’elevata diffusione e la trasversalità del problema creano la necessità di delineare percorsi di diagnosi e cura basati sui presupposti dell’appropriatezza, sicurezza e prove di efficacia omogenei e condivisi nell’ambito delle reti assistenziali integrate. Questo permetterebbe di declinare i Livelli Essenziali di Assistenza in qualità ed appropriatezza dell’assistenza erogata, omogeneità territoriale dell’offerta, accessibilità dei cittadini alle prestazioni. A tal proposito la Fondazione ha messo a punto un modello di “rete di centri” proprio per aiutare le persone a trovare il giusto percorso di cura e nello stesso organizzare al meglio le risorse esistenti per un sistema accessibile e sostenibile”, ha concluso Roberto Carone, Presidente emerito di Fondazione.
La creazione di tali reti ha come obbiettivo primario l’appropriatezza sia nelle prestazioni diagnostico-terapeutiche che nella prescrizione e fornitura di pannoloni e cateteri e pertanto di migliorare la risposta socio-sanitaria alla persona con incontinenza.
Tutte le attività svolte in 15 anni di operato vanno sempre in questa direzione. L’impegno di tutti nell’attuazione di una strategia condivisa e dell’implementazione del fattibile subito, potrà portare importanti risultati misurabili per chi riceve e per chi eroga le prestazioni socio-sanitarie.